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La pittura murale di Vilma Torselli pubblicato il 27/03/2007 |
"La pittura murale è pittura sociale per eccellenza. Essa opera sull'immaginazione popolare più direttamente di qualunque altra forma di pittura, e più direttamente ispira le arti minori. L'attuale rifiorire della pittura murale, e soprattutto dell'affresco, facilita l'impostazione del problema dell'Arte Fascista". (Mario Sironi) |
Nel periodo del ventennio fascista (1922-1943) l'arte italiana si orienta verso una poetica di tipo sociale, a superamento degli impeti individualisti del periodo avanguardista, nella convinzione che l'arte debba avere una funzione collettiva e possa svolgere all'interno della società civile un ruolo comunicativo ed educativo. In questo clima culturale conservatore e revisionista, viene rivalutata e largamente impiegata una forma artistica che ha in Italia radici lontane, la pittura murale, praticata nelle sue forme più semplici dalle culture preistoriche di tutto il mondo, trasformatasi nel nostro paese in epoche più recenti nella tecnica dell'affresco, pittura eseguita sull'intonaco appena steso ed ancora bagnato (a- fresco), che sfrutta la reazione chimica della carbonatazione della calce combinata con l'anidride carbonica dell'aria, oppure secondo la tecnica detta a "fresco secco" o "secco", intervenendo sulla parete asciutta con colori a calce o a tempera. L'esperienza italiana differisce molto dal fenomeno del muralismo nel resto del mondo, del centro America o dell'America del nord, caratterizzato da un più spiccato carattere popolare e da un linguaggio sostanzialmente meno intellettualistico, legato a retroterra culturali assai diversi dal nostro. Il muralismo fu altrove usato spesso come forma espressiva di protesta, non tanto quindi a servizio della volontà di un regime quanto al contrario delle istanze rivoluzionarie delle popolazioni, mancando spesso, a differenza di quanto accade in Italia, di precise linee programmatiche. Qui è il regime al potere a stabilire che si debba produrre un'arte pubblica di grande impatto popolare, magniloquente, celebrativa, propagandistica, rapportata alle nuove direttive razionaliste in materia di architettura, teorizzandola in un Manifesto della pittura murale che viene pubblicato nel dicembre 1933 da Mario Sironi e sottoscritto da Carrà, Campigli, Funi, condiviso da Cagli: in esso si afferma il tramonto della pittura da cavalletto naturalistica ed ottocentesca a beneficio di una nuova pittura dallo stile composto ed aulico, lo stile fascista definito "antico e allo stesso tempo nuovissimo", dove l'elemento emozionale viene bandito, una pittura che parli alle masse ed esalti i valori dell'ideologia al potere, al tempo stesso tendente alla rivalutazione del ruolo sociale dell'artista. "La pittura murale è pittura sociale per eccellenza. Essa opera sull'immaginazione popolare più direttamente di qualunque altra forma di pittura, e più direttamente ispira le arti minori. L'attuale rifiorire della pittura murale, e soprattutto dell'affresco, facilita l'impostazione del problema dell'Arte Fascista": così recita il manifesto di Sironi, che è in assoluta buona fede nella sua adesione al fascismo, anche se ciò non lo sottrarrà ad un successivo ostracismo della critica, così come la pittura murale, seppure prodotto di regime, interpreta effettivamente le tendenze culturali e le istanze di una generazione di italiani: tuttavia dopo la caduta del fascismo venne esercitata una censura generalizzata e poco obiettiva su questo patrimonio artistico italiano e manca a tutt'oggi un giudizio sereno ed un'analisi esaustiva di questa forma pittorica e di questo periodo storico che pur tuttavia produsse senza dubbio una grande quantità di opere in gran parte di buon livello qualitativo. In particolare Mario Sironi è stato condannato ingiustamente ad una solitaria vecchiaia, isolata da una congiura del silenzio: è solo degli anni '50 l'inizio di un'analisi critica più rigorosa ed obiettiva sulla sua opera e la sua definitiva riabilitazione che scinde giustamente la vicenda politica da quella artistica (culminando con una retrospettiva allestita nel '62 alla XXXI Biennale di Venezia). Sono di Carrà gli affreschi per la Triennale di Milano del 1933, andati distrutto, e quelli per il Palazzo di Giustizia nel 1938, di Sironi l'affresco "L'Italia fra le arti e le scienze" eseguito nel '35 per l'Aula Magna della Nuova Università di Roma, progettata da Piacentini, fa pittura murale Gino Severini, nel periodo dal 1924 al 1935, Aligi Sassu nel 1939 esegue due grandi dipinti ad affresco di soggetto mitologico, Nivola realizza attorno al '35 una serie di pitture murali andate purtroppo perdute, molti insigni artisti italiani si sono cimentati in questa tecnica, contribuendo alla nascita di nuove forme della pittura celebrativa, fino all'avvento del Manifesto di Sironi legata a farragginosi simbolismo ottocenteschi. |
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quinta-feira, 1 de setembro de 2011
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